venerdì 9 ottobre 2015

Paduv'è

Padova ha iniziato a chiamarmi nel 2011. Solo che trovava sempre occupato.
Prima di allora mi era capitato diverse volte di sentire nominare questa città, ma non la conoscevo affatto.
E voi? Voi la conoscete Padova? Cosa vi viene in mente quando vi dico la parola Padova?
Se vi dicessi Roma vi verrebbe in mente il Colosseo.
Pensi a Milano e vedi le guglie del duomo.
Padova di solito la associ a Sant'Antonio.
Ecco, il primissimo ricordo che ho di Padova in quanto concetto, risale ai tempi dell'oratorio estivo (1994?1995?), quando scoprii con grande rammarico che la gita del giovedì non sarebbe stata a Gardaland (ah, bei tempi quando i bambini venivano portati in gita a Gardaland e non all'Expo!), ma a Sant'Antonio, che nella fattispecie non era né più, né meno che una chiesa.
L'equazione "Oratorio=Gita a Padova=Sveglia alle cinque del mattino=Chiesa" bastava di per sé a farmi desistere.
Non ci andai.
Mia madre si incazzò come una bestia, perché "Ti sei  presa l'impegno di andare all'oratorio estivo e adesso lo porti a termine". 
Io non ci andai comunque. E col cazzo che mi sarei svegliata alle cinque del mattino per andare in chiesa. A fa cusé poi? A pregare? Ma va là.

Successivamente, mi capitò diverse volte ancora, ovviamente, di sentire parlare di Padova. Da quello che avevo sentito dire, avevo capito trattarsi di una città industriale, un po' incasinata. Tipo Milano. Sì, ma più piccola. E con la chiesa di Sant'Antonio. Che non avevo idea di come fosse, ma in quanto chiesa non mi interessava per nulla. Insomma Padova non m'attirava.

Poi nel 2011 Padova, mi chiamò la prima volta.
Lo fece con la voce e il telefono della ragazza con cui poi ho vissuto per un mese e mezzo a Londra. Conosciuta per caso, veniva dalla provincia di Padova.
Fu la prima ad insegnarmi qualche parola in veneto. Parole che dimenticai nel giro di un paio di mesi.
Quando tornammo da Londra mi chiese diverse volte di andare a trovarla.
Non ci andai mai.

La seconda volta fu nel 2012.
Avevo conosciuto questo tizio per caso, e indovinate un po' da dove veniva? Dalla provincia di Padova.
Quando lo andai a trovare, ricordo che mi segnai su un foglietto il nome del paese in cui sarei dovuta approdare col treno. Perché un nome del genere non l'avevo mai sentito prima e temevo di dimenticamerlo: Monselice.
Infatti poi per sbaglio scesi a Rovigo. Ma questa è un'altra, tristissima, storia.
Quella mattina partii presto di casa. Indossavo una maglietta rosa con dei piccoli bottoncini sul seno che non ne volevano sapere di rimanere allacciati.
Ricordo quel giorno a Monselice.
Ricordo quella piccola stazione schiacciata in mezzo ai monti. Ricordo lo fontana triste appena là fuori. Ricordo la campagna. Campagna, campagna e ancora campagna. Avevo vissuto per 28 anni nell'hinterland milanese. E la vista di tutta quella campagna mi dava alla testa.
Ricordo la sensazione di estraneità che mi inebriava.
In moto con lui mi sentivo lanciata come la pallina di un flipper verso l'infinito e oltre. 
Ed ero solo a Monselice.

Mi chiese di tornare a trovarlo. 
Non ci andai mai.

Ma quando Padova chiama, arriva un bel momento in cui non puoi più tirarti indietro.
Si dice che quando finisci in una città o in un paese in seguito a tutta una strana serie di coincidenze, vuol dire che con quel luogo hai un legame karmico.
Ecco, mi viene da pensare che forse chissà, in qualche vita precedente devo essere vissuta a Padova. O forse nelle campagne circostanti. D'altra parte mio nonno paterno era di Treviso, quindi chi mai può escluderlo.

Padova mi ha richiamata per la terza volta nel 2013. 
Grazie ad Adhara. Conosciuta per caso grazie al blog.
Ricordo perfettamente il giorno in cui sono scesa alla stazione di Padova per la prima volta.
Ricordo che uscii dall'entrata principale. Ricordo il grande spiazzo che trovai davanti.
"E questa è Padova" mi dissi.""Ciao Padova, sono arrivata finalmente, hai visto?"
Padova non rispose ma continuò a padoveggiarmi davanti agli occhi e quello mi bastava.

Ancora non avevo la più pallida idea che, nel giro di qualche mese, in quei luoghi, ci sarei passata ogni singolo giorno della mia vita.

Ricordo quel pomeriggio. Un freddo pomeriggio d'inverno.
Ricordo la ricerca, impossibile del parcheggio.C'era un fottìo di gente e per me, che ormai mi ero assuefatta alla semi-deserta Ravenna, mi pareva d'essere tornata nella civiltà.
Ricordo i mercatini di Natale in via Roma. Dove comprai dei cannoli siciliani.
Ricordo i palazzi antichi del centro, di cui mi innamorai perdutamente fin dal primo istante.
Ricordo Prato della Valle illuminata dalle luci di Natale. Si apriva davanti ai miei occhi con tutta sua maestosità e quasi mi pareva un sogno.
Desiderai ardentemente andare a vivere lì.
Ed è successo.

Sette mesi dopo ero in Piazza dei Signori a fare il primo aperitivo insieme al Moro.
Qualche ora più tardi tornavo a casa e dicevo alla mia coinquilina che lui no, non sarebbe mai potuto essere l'uomo della mia vita.

E ricordo un pomeriggio d'estate. Un pomeriggio di questa estate. Che sembra ieri e invece e già passato da un pezzo.
Dovevo andare a trovare una carissima amica conosciuta per caso.
Che abita proprio vicino a Monselice.
Ricordo quando scesi dal treno e ritrovai la stessa stazione vista due anni e mezzo prima.
"Ciao Monselice! Hai visto che sono tornata? Ma ti rendi conto delle coincidenze che mi hanno spinta fino a qui? Ma ti pare? Adesso ho una carissima amica che abita  vicino a te, sai? Verrò a trovarti ancora sicuramente!"
Nemmeno Monselice ripose, si limitò a monseliceggiare.
E a me bastava. 
Poi vidi la mia amica e andammo a fare un giro per il paese.
Ad un certo punto mi accorsi di un piccolo particolare a cui non avevo fatto caso per nulla fino a quel momento. Indossavo la stessa maglietta rosa che avevo sul il giorno in cui ero andata a Monselice quasi tre anni prima. La stessa maglietta, Quella che non metto mai perché i bottoni sul seno non s'alllacciano.
La stessa maglietta, stesso modello, stesso colore, stessa marca, che aveva comprato tre anni prima anche mia nipote. A lei veniva comoda per allattare perché aveva partorito da poco.

E poi le chiamano coincidenze.


E pensavo dondolato dal vagone: 
"Cara amica il tempo prende, il tempo dà, noi corriamo sempre in una direzione, ma quale sia e che senso abbia chi lo sa. 
Restano i ogni senza tempo, le impressioni di un momento, le luci nel buio di case intraviste da un treno. 
Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno"

(Francesco Guccini -Incontro-)