giovedì 6 marzo 2014

Lettera all'idiota

Ciao idiota.
Ti ricordi che ti chiamavo sempre così?
La vuoi sapere una cosa? Credo che io e te abbiamo ancora un paio di cose da dirci. Ovviamente non è che sono così minchiona da dirtele in faccia, sia chiaro.
Anche perché so che non mi vuoi parlare.
E non sia mai, che magari se m'avvicino troppo alla tua regale persona potresti anche accusarmi di stalking.
Dato certe tue esageratissime e insensate reazioni che hai avuto in passato, la cosa non mi stupirebbe.
D'altra parte se t'ho sempre chiamato idiota un motivo ci sarà pur stato, no?

Allora, quando le cose tra noi hanno iniziato ad andare davvero maluccio, da brave persone che hanno condiviso anni e anni di vita, abbiamo pensato di suddividerci per benino i compiti.
Tu ti sei beccato l'ingrato compito di porre fine alla nostra malatissima relazione. Perché se fosse stato per me non so se ne avrei mai avuto le forze.
Ma, da bravo calcolatore quale sempre sei stato, l'hai fatto solo quando ti sei garantito un altro bel porticciolo sicuro in cui approdare con il tuo regale veliero. E no, credimi, non sto parlando di scopate et similia. Non solo di quello almeno. Mi hai lasciata perché avevi perso la testa per un'altra persona con cui ti sei messo insieme poco dopo.

Io mi sono beccata l'ingratissimo compito di ripartire da zero. Da sola. Senza nessuno. Senza un lavoro.

Qualsiasi persona che è entrata nella mia vita dopo di te (e ti garantisco che di persone entrate recentemente nella mia vita ce ne sono parecchie, per fortuna) non può esimersi dal pronunciare parole molto dure e sprezzanti nei tuoi confronti.
"È stato un coglione"
"Non ti amava davvero"
"Mah... insomma farla così sporca davanti a tutti..."
"Ti ha mancata di rispetto perché t'ha mollata lasciandoti nella merda"

Non credo tu ti sia attirato molte simpatie, e credimi, un po' mi dispiace perché alla fine, per quanto tu ci abbia provato in tutti i modi a passare dalla parte della vittima, l'unico risultato ottenuto è che hanno iniziato a vederti tutti come uno spietato carnefice.
Davvero, mi dispiace.

Il mio sgraditissimo compito mi ha riservato invece tante belle sorprese.
Mi sono rimessa in gioco.
E sì, certo, la disoccupazione e la repubblicadimerda in cui viviamo si sono piantati per benino come una mannaia dietro la schiena ma questo non mi ha impedito di crescere come donna.
Ho messo in pratica tutto quello che ho imparato con te.
Perché, credimi, 10 anni insieme ad uno svitato-paranoico-sociopatico pesano come macigni. Ma mi hanno insegnato tantissimo.
(Sì, sì, scusami, hai ragione.
Ti ho detto svitato-paranoico-sociopatico, non dovevo essere così insolente e mancarti di rispetto)
All'inizio non lo credevo possibile nemmeno io, ma un "soggetto diversamente abile nelle competenze emotive" (così va meglio?) ti lascia quintalate di roba da elaborare, poi, man mano che macini, ci tiri fuori qualcosa di buono.
Macina e macina e vien fuori la farina.
Poi prendi la farina, la impasti con quel cazzo che ti pare a te e ci puoi fare del pane. O dei biscotti. O magari ci puoi firggere del pesce.

"LiLLy, basta che ce fai venire fame, poi ci tocca inghiottire il pc come nella pubblicità!"

Si, avete ragione. Troverò una metafora altrettanto appopriato. Allora, prendi la farina, ci fai la pasta di sale e poi puoi usarla per fare dei posaceneri, dei soprammobili, dei centrotavola...

"LiLLy, che due coglioni e adesso basta che abbiamo capito!"

Ma mi volete lasciar scrivere come mi pare a me? Sciò sciò, andate da un'altra parte, che qualche googlata più in là ci trovate la posta del cuore di Moccia. Chiedeteglielo a lui cosa ci si può fare con la farina, magari vi tira fuori il romanzo nuovo, una roba tipo "Amore biscotto tenerotto pucciotto" o "Ho scritto t'amo con la pasta di sale".

Ad ogni modo, lasciamo stare Moccia e la pasta di sale. Ho ancora un paio di cose importanti da dirti.
Tu, essere con cui ho condiviso dieci anni della mia vita.
Tu, dalle scarsissime e pressocché nulle competenze emotive-sociali- relazionali.
Tu,si, si, proprio tu
Tu, saresti orgoglioso della donna che sono diventata.
E un giorno ti spiegherò anche perché, non adesso però perché non c'ho sbatti.
Ciao idiota, stammi bene e ripigliati

mercoledì 5 marzo 2014

Fase cazzeggio ennesima + 1, il carnevale

Carola. Troppe fasi cazzeggio, che dici? Secondo me questa nostra interessantissima propensione ha un solo pregnantissimo significato: lo scopo ultimo della nostra esistenza è uno e uno solo: il cazzeggio selvaggio. Ma se creassimo delle "olimpiadi del cazzeggio"? 

Allora, visto l'umore che vira pesantemente verso il basso, la rabbia e il fatto che sono stata contattata per l'ennesimo "lavoro truffa" (apro parentesi: ma perché questi sono ancora in giro? Perché questi loschi individui pullulano e proliferano beati come batteri dentro una capsula di Petri? Cazzo, se ti svegli un mattino e t'accorgi che c'hai un virus che ti causa febbre a mille/cagotto/cefalea cerchi di debellarlo giusto? E allora 'sti cazzoni di merda debelliamoli dal mercato del lavoro, no?)

Ora, per sfuggire a questo malatissimo sistema ho pensato bene di distrarmi un pochino. 
Ragazzi è carnevale! Vai in giro e si sente profumo di chiacchiere e frittelle, vedi bimbi vestiti nei modi più assurdi e inimmaginabili. Arrivi a casa con chili di coriandoli nelle mutande.
Pensavo che a Ravenna, città grigia e triste e morta, il carnevale sarebbe passato quasi inosservato. E invece hanno fatto una sfilata proprio con i controcoglioni. E indovinate dove? A lido Celentano, la ridente località di mare che ospita l'onorata e gloriosa repubblica democratica di LiLLyLandia.
Sembrava di stare a Venezia, con un unica grandissima pecca. Che eravamo a Celentano. Località che è notoriamente grigia e triste e morta.
"Come Ravenna LiLLy?"
No, peggio.
Pensate che ho pure visto un bimbino sugli otto anni vestito da morte. Con tanto di falce in mano.
Cioè, io ero lì a vedere passare i carri (non quello funebri eh) e me lo sono trovato di fianco.
Per poco non ho sentito pure il soffio d'aria gelida sul coppino, sticazzi.

Beh, sappiate che mi sono mascherata anche io.  Non lo facevo più dal 1995 più o meno. Quest'anno mi si è presentata l'occasione e indovinate un po'?
Ho scelto un travestimento che si adatta particolarmente alla mia personalità.
"Ma davvero LiLLy? E da cosa ti sei vestita? Da barbona? Da disoccupata incazzata? Da onesta e disadattata cittadina che prima o poi esce completamente fuori di testa?"
Ehi voi, vedete di pigliarmi poco per il culo che qua tira aria bassa per tutti.
No, io mi sono vestita da pin up anni '50. Mi spiace solo che alla fine non ho una foto a figura intera. Avrei potuto allegarla al curriculum e chissà, magari mettendo in bella vista cosce e tette avrei potuto iniziare una brillante carriera da parlamentare.
Ringrazio la mia amica e vicina di casa, Chiara, la mente geniale che é stata dietro a tutto questo.
Senza di lei probabilmente mi sarei vestita da barbona sul serio.
Per vestirmi sa pin up ho recuperato

  •  Il vestitino che uso di solito per andare al mare, in pieno stile pin up. Glielo avevo visto addosso a mia nipote e lì ho capito che doveva essere mio. Costo: 8 euro.  Allego foto dell'oggetto in questione scattata nel dopo-serata, ovviamente è tutto spiegazzato perché non l'ho stirato. E che cazzo, non l'avevo stirato prima di indossarlo, figuratevi se lo stiravo dopo.                   
                                                                             

  • Un paio di decolté da abbinarci. Le avrei preferite rosse ma a casa ne avevo un paio blu, con la suola rossa, comprate in saldo un paio d'anni fa. Ho preso quelle. Prezzo: 20 euro

  • Uno smalto rosso. Me lo avevano regalato durante un aperitivo sponsorizzato da una nota marca di liquori. Ci ero andata proprio con Chiara tra l'altro. Prezzo: uno spritz.

  • Trucco: io in media mi trucco poco. Un po' di fondotinta, un filo di matita nera sugli occhi, e rossetto rigorosamente rosso, prestatomi sempre da Chiara che ringrazio ancora infinitamente.

  • Pettinatura: ho guardato questo video. E ho comprato un foulard. Prezzo: 2,50 euro. Quando ho fatto la prova domenica sera con Chiara é andato tutto stra bene. Martedì, il grande giorno, mi sono acconciata da sola, c'ho rimesso 5 anni di vita e una gastrite perché cazzo, la banana non stava su. Avete capito cosa intendo per banana vero?
Il risultato è stato questo

Ero mezza nuda. Con la pioggia battente e il freddo. A saperlo prima mi sarei vestita da palombaro. O visto il vento che soffiava a mille mila nodi, da pala eolica.


lunedì 3 marzo 2014

"Sono fuori, sono, sono fuori

Come gli agricoltori quando raccolgono i pomodori
Sono fuori, sono, sono fuori.
Come un vaso di fiori signore e signori"

Li conoscete gli Articolo 31? E l'album "Così com'è" del 1996?
No?
Peccato.
Io quell'album lo conosco a memoria e fa venire in mente un periodo particolarmente felice della mia vita: la seconda media.
All'epoca ero una ragazzina di dodici anni allegra e spensierata.
Più o meno.
Diciamo che c'erano alti e bassi.
Forse più bassi che alti.
Forse sarebbe più veritiero dire che era una merda totale.

All'epoca non sapevo proprio che cazzo avrei fatto della mia vita.

"Ah LiLLy! Perché invece adesso che sei all'alba dei trenta, lo sai vero?"

No, non lo so, ma da allora ad oggi c'è una grandissima differenza da tenere in considerazione

"Beh cazzo, adesso che sei una donna matura, sicuramente ci avrai guadagnato in consapevolezza"

Certo, adesso sono una donna molto più consapevole. Consapevole della situazione di cacca in cui mi ritrovo.
All'epoca quel tipo di consapevolezza non ce l'avevo. Ero convinta che a trent'anni avrei avuto una famiglia e un lavoro con cui potermi esprimere e realizzare come donna. Nel frattempo cazzeggiavo.
Alla fine ero solo una ragazzina scipita come un cocktail allungato, il cui il massimo del divertimento era partecipare a festicciole organizzate a casa tra amiche.  Festicciole rigorosamente vietate ai maschi.

"Vietate ai maschi? Come mai? Perché tu e le tue compagne di classe eravate così sessite e pudiche?"

Veramente non eravamo nè sessite, nè pudiche. E le feste allora non è che fossero proprio vietate ai maschi.
Erano loro che non ci volevano venire.
Gli uomini allora non ci cagavano di striscio.
Una volta un tizio pluribocciato, dall'aspetto più simile a quello di un trentenne che non a quello di un sedicenne, prese una cotta per una mia coetanea.
La cosa finì molto presto quando il tizio in questione, dopo aver spiato l'oggetto del desiderio nello spogliatotoio della palestra, capì che quel flirt non s'aveva da farsi.
Il motivo lo scoprimmo anni dopo:
"Oh si, lei era tanto, tanto carina. E dolce, ma proprio dolce. Ma ragazze quando ho visto che c'aveva i peli sotto le ascelle sono rimasto traumatizzato"

E già.
Perché noi all'epoca (almeno, noi della mia classe, già per quelle di altre sezioni non posso mica garantire, anzi...) mica stavamo lì ad infighettarci. Era già tanto se ci facevamo i peli sulle gambe.
Noi si studiava.
Si passavano i pomeriggio all'oratorio.
O a casa di amiche.
Col cazzo che andavamo a ballare sul cubo in discoteca la domenica pomeriggio: con le facce disperate che c'avevamo dipinte in faccia i butta fuori c'avrebbero guardato con compassione e poi spedite in edicola a comprare le figurine.
Il massimo della vita era andare in panificio a prendere un pezzo di pizza da gustare con un buon Estathé d'annata.
D'annata perché, se ci guardavi, la data di scadenza poteva riservarti delle grandissime sorprese.
Oppure andare a passeggio per raccogliere un particolare tipo di ghianda che una volta passata sulle palpebre lasciava un colore grigio metallizzato. Roba che nemmeno certi ombretti della Pupa.
La pazzie più totali consistevnoa nello scolarci qualche sorso di birra, nel fumarci qualche sigaretta.
O nell'andare a vedere gli Articolo 31 al quadrifoglio di Garbagnate Milanese, appunto.
Non ci facevamo nemmeno le canne perché avevamo paura di fare la stessa fine di Christiane F, pensate un po' che tristezza.
Tutto il resto era un'accozzaglia di grandi mah e boh, conditi dalla speranza che forse un giorno, i ragazzi avrebbero incominciato a cagarci.
Era una piccola vita, da piccola ragzzina di provincia.
Ma almeno c'era la speranza.

Quindici anni dopo. I grandi boh e mah sono diventati enormi e mastodontici vuoti esistenziali. Il lavoro e i diritti basilari legati al lavoro (e non solo) sono andati beatamente a farsi fottere.

Forse, ma forse, le differenze sostanziali tra la me stessa di allora e quella di oggi sono tre:

1) Adesso mi depilo regolarmente. Con la sola eccezione della stagione invernale, perché la gamba, si sa, va lasciata al maggese per almeno sei/sette mesi all'anno.
2) Se qualcuno mi dovesse offrire una canna non la rifiuto di sicuro. E, visto che non trovo lavoro, sto seriamente pensando di  intraprendere la carriera di drogata.
3) Gli uomini mi cagano. Certo, di solito lo fanno per incasinarmi. Per shackerarmi l'anima. O per farmi buttare via buona parte del mio preziosissimo assegno di disoccupazione comprando pillole anticoncezionali che mi sregolarizzano il ciclo e test di gravidanza che costano quanto i miei ovuli, caso mai mi dovesse venire l'insana idea di metterli sul mercato.

Insomma. Dodici anni per sempre.
Qualcuno m'ha detto che sono ancora un bruco che aspetta di diventare farfalla.
Secondo me un bruco che rimane un cazzo di bruco per trent'anni andrebbe segnalato all'Epa come il pesce pluriocchiuto del film dei Simpson.
E ad ogni modo, chi cazzo me lo fa fare di diventare farfalla che tanto quelle schiattano dopo due giorni?