martedì 20 maggio 2014

Nymphomaniac vol. 1

Voi che faccia avete quando fate sesso? E al culmine del piacere?
Ve lo siete chiesti? O forse l'unica idiota sulla faccia della terra che si pone certe assurde domande sono io?
E vi dirò di più.
La risposta mi inquieta abbastanza.
Anche perché un conto è avere un'espressione del genere


O anche una così


Fin qui andrebbe tutto bene.
Ma se io invece avessi un'espressione tipo questa?


O, per l'amor di dio, e se fossi più vicina a quest'altra?

 

Cristo, 'sto Nymphomaniac m'ha aperto gli occhi. Poi chissà, magari mi salvo perché sono donna, e forse le donne in certi momenti si possono lasciar andare ad espressioni esteticamente più aggrazziate.
Comunque.
Questo è un film con i controcoglioni e anche con tanti coglioni. Proprio i testicoli intendo, che se ne vedono davvero tanti visto le numerose scene a sfondo sessuale.
A me personalmente ha lasciato senza parole.
"E allora che cazzo ci scrivi su una recensione se non hai parole?"
Ah non lo so.
La protagonista, Joe è convinta di essere un essere abietto e deprecabile. Anzi il più abietto e il più deprecabile essere presente sulla faccia della terra.
Tanto per cominciare è ninfomane.
Parola che io trovo personalmente orribile. Che se unA scopa qua e là è una pervertita. Se lo fa unO allora gli è concesso tutto.
Il termine poi parla di "smania" ma si dimentica di altri aspetti fondamentali tipici delle dipendenze: la solitudine, il senso di vuoto.
Joe è egoista, bugiarda ("Lo sai che tu sei il primo con cui ho raggiunto l'orgasmo?", poi in realtà forse era il primo della giornata) e di sicuro non pensa minimamente alle conseguenze delle sue azioni, anche quando queste si riflettono sul destino di una famiglia intera.
Finché ad un certo punto scopre che l'ingrediente segreto del sesso è una robaccia strana, un intruglio malefico, chiamata "amore".

"Nelly, io sono Joe!"
Ecco. In un momento di puro delirio mi verrebbe da dire una cosa del genere.
Cioè.
Non sono ninfomane. Almeno, non per ora.
Però che il sesso consenta di esprimere, esprimersi, fare esperienza, sperimentare unione, solitudine, rabbia, vuoto e pienezza, beh, quello mi sembra abbastanza vero.
E sono ben felice di lasciare i giudizi morali a qualcun'altro perché io mi sono stancata abbastanza di averne. 
Ed è vero che fare Sesso -quello con la esse maiuscola, quello con la persona in cui riesci a perdertici dentro- è una delle esperienze per cui vale la pena vivere e anche morire.
E adesso basta che mi viene da piangere.
Comunque, che ognuno scopi a modo suo. E che sia capace di affrontare fantasmi e paure. Magari senza incappare in nessun tipo di dipendenza.

A me il film è piaciuto davvero tanto. Come Von Trier sa giocare con immagini e matafore davvero credo che non lo sappia fare nessuno. Poi, oh, io di cinema ci capisco sostanzialmente poco, quindi se doveste conoscere registi del suo stesso livello ditemelo pure.
Non adesso però che devo vedere il volume due.
E nemmeno dopo che dovrò smaltire prima l'uno che il due.
Magari un'altra volta

sabato 10 maggio 2014

Storia di un cuore

Che titolo puccioso, nevvero? Ebbene, se continuerete a leggere capirete il perché della mia -discutibile- scelta.
Ogni tanto torno. Ogni tanto. Perché sono stra impegnata. E quando non sono stra impegnata cazzeggio alla grande, quindi di tempo per il blog ne ho poco.
Qualcuno voleva sapere dettagli.
Ebbene, c'è stato un grande, enorme cambiamento nella mia vita.
"Hai trovato l'uomo LiLLy?"
Uomo? Cosa essere uomo? No, ho trovato lavoro, in una città nuova.
Adesso vivo in questa bellissima città veneta che tanto si presta ad essere fotografata: Padova.
E faccio la commessa. Attenzione, non la barista sfigata che spilla birre e vino da quattro soldi, mentre tutti gli altri intorno a lei si divertono, magnano come porci e bevono come spugne.
No, adesso la signorina LiLLy fa la commessa in un negozio di accessori.
Sono praticamente qualla caga cazzo che viene a rompervi i coglioni affinché voi non usciate dal negozio senza aver comprato almeno un braccialetto o un paio di orecchini. Magari una borsa se proprio, proprio mi va bene.
Mi diverto, passo il tempo a fare lunghe digressioni sulle differenze cromatiche di un tessuto rispetto ad un altro e spiego alla sciura di turno che quello "No, non è un elastico né tantomeno una spugna. È un accessorio per capelli che serve per fare lo chignon. Non sa cos'è lo chignon? Ha presente la cipolla? Non quella che si mangia eh, con quella ci fa il sugo, no, la cipolla quella che c'hanno le ballerine. Ha presente le ballerine?"
Ecco, questa è la mia vita ora.



Oggi è stata una giornata di intenso lavoro. E sapete perché? Perché la gente ad agosto scopa come se non ci fosse un domani. Infatti maggio è il mese dei compleanni (tra poco ci sarà anche il mio tra l'altro) e io ho fatto più pacchetti regalo oggi di tutti quelli che ho ricevuto in vita mia.
"È un regalo, può farmi un pacchetto?"
Ecco questa tristissima frase mi riecheggia ancora nel cervello con una violenza inaudita.
Che poi per farli non è che ci voglia proprio una laurea in pacchettologia. Basta prendere la busta regalo, infilarci l'oggetto senza prezzo, chiudere e sigillare il tutto con un bel bollino.
Di bollini ne abbiamo di tutti i tipi: quello con il logo del negozio, quello con un disegnino colorato che non ho capito che cazzo sia, quello con su un uccello (per uccello intendo il volatile) che boh, forse sarà un piccione?
E poi c'è lui. Quello a forma di cuore.
Ne avevamo uno nel cassetto che girava da qualche giorno. Che mica lo puoi appiccicare su un regalo qualsiasi. No. Ci vuole l'occasione giusta: un giovane volubile dal cuore innamorato, o una moglie che si ricorda all'ultimo del compleanno del marito e finisce per sbaglio nel nostro negozio dove NON teniamo articoli per uomini. E lì che cazzo fai? Rifili la sciarpa nera che tanto è unisex. Oppure inviti la signora a comprarsi una cazzo di agenda dove segnare compleanni e scadenze importanti, tipo "9 maggio, di lui compleanno, ricordarsi il regalo e di dargliela che sono già passati due mesi".



Ecco, oggi s'è presentata l'occasione giusta per quel povero cuore solitario buttato lì, tra le monete di scorta e le chiavi del bagno.
È entrato un ragazzo. Carino, sulla trentina, vestito bene, accento romano e trolley in mano.
"Ciao, vorrei fare un regalo per la mia ragazza".
Già mi immaginavo la scena. Lui che finalmente tornava a casa dalla sua bella dopo un lungo viaggio. Stanco, tanto stanco, ma che non vede l'ora di rivedere la sua donna, che, in cucina, tra uno sbuffo di vapore e una rimestolata in pentola, gli sta preparando una cena coi fiocchi. Perché sì, loro a differenza del 99,9 per cento delle coppie sono felici e quando si rivedono dopo una lunga assenza hanno voglia di parlarsi, guardarsi negli occhi e fare per l'ennesima volta l'amore.
Ce lo vedevo proprio lui che dopo un lunghissimo bacio le dici: "Tesoro, non potevo non portarti qualcosa, ecco guarda sono in passato in questo negozio e ti ho preso una..."



"E se le regalassi una borsa? Guarda, questa è molto carina" dico io al tizio.
"Quanto costa?"
"60 euro"
"Io veramente volevo prenderle quel braccialettino lì..."
"Quello da 15 euro?"
"No, non quello, quello da 7"
Spilorcio che non sei altro! E poi non lamentarti se si trova l'amante abbiente eh...
"Vuoi magari una collanina da abbinarci?"
"No grazie"
Spilorcio, spilorcio, spilorcio!

Prendo il braccialetto, vado in cassa.
"Puoi mica farmi un pacchetto?"
E ridaje con 'sti cazzi di pacchi.
Infilo il bracciale nel sacchettino, apro il cassetto e vedo lì il cuore, in trepidante attesa.
E lì penso al mio di cuore.
Penso a quella specie di pseudo relazione durata un anno che doveva essere un felice intermezzo, una scia di luce, una nota leggera e che invece mi ha lasciato cicatrici da leccare e lacrime che non ne vogliono sapere di uscire.
E meno male che pensavo di averla superata già da un pezzo.
Poi penso al tizio sorridente che ho davanti, al fatto che ha la donna a casa che lo aspetta.
Rosico di rabbia.
Lascio lì il cuore e prendo il bollino più brutto che abbiamo. Quello con l'uccello.
Tiè, e beccati il piccione va!
Incasso le mie sette euro, incasso le rabbia.
Prima o poi arriverà l'occasione giusta, per ora il cuore lo lascio nel cassetto.
Tra le monete e le chiavi del bagno. E i piccioni.
Un unico pensiero: spero di aver lasciato attaccato il prezzo del braccialetto.



Ciao belli! Spero di tornare presto.





martedì 22 aprile 2014

Di frecce e regionali

Il freccia rossa é una cazzo di figata di treno. E che non mi si dica che sono volgare per favore, dentro ad un mezzo del genere lo sarebbe chiunque, perfino la suorina appena vista scendere che si portava dietro un trolley più grande di lei. Son convinta che appena entrata avrà pensato: "E sticazz!!"

Il freccia rossa ha tutto quello che serve per rendere confortevole un viaggio: spazio in abbondanza, una presa della corrente che quando c'hai lo smartphone che si scarica alla velocità della luce é un po' come una manna dal cielo. Inoltre su un treno del genere hai poi il grande, enorme, inestimabile privilegio di sapere a quanto vai. E quando t'accorgi che sei quasi sui trecento all'ora e ancora non li senti, un altro bel "E sticazzi!" ci sta come il cicchetto di grappa dopo la trippa.
Il freccia rossa c'ha anche il uai fai. Pensate, il uai fai. Che non ho ancora capito come cazzo funziona, se é aggratis o no. Comunque sono quasi sicura che ce l'abbia.
Poi vi devo svelare una chicca. Ma proprio una di quelle chicche che più chicche non si può. Avete mai assistito alla partenza di un mezzo di tale portata? No? Beh sappiate che quando il freccia sfreccia verso l'infinito e oltre, lo sfregamento delle ruote contro le rotaie emette un suono, un fischio che si compone di due note distinte. La prima più bassa, la seconda più alta. Ebbene quelle sono esattamente le prime due note emesse dall'armonica nella canzone "Ho imparato a sognare" dei Negrita.  O almeno credo, insomma io di musica non ci capisco una sega e ho anche una percezione abbastanza alterata della realtà.

"Minchia che storia!" Direte voi. 

E avete ragione: il freccia rossa ci fa sognare. Anzi, oserei dire che io il freccia rosso me lo sogno proprio, visto che costa un occhio della testa.
Infatti non é il treno che ho preso io. Io l'ho visto arrivare e ripartire con quel fischio magico che sa' di libertà e sere d'estate, di musica e birre. Lui, il freccia rossa, che chissà dove sarebbe approdato alla fine della sua corsa...

Oddio, sul tabellone luminoso c'era scritto che finiva a Napoli, ma per come lo vedevo io poteva anche fare come il Galaxy  Express 999 e spiccare il volo verso chissà quale galassia.

Poco dopo é arrivato il mio regionale, che  in confronto, arrancava come un vecchietto. 
É arrivato, tutto sgangherato, pieno di gente ammassata. E son salita. 
Niente Negrita di partenza, una buona camminata di mezz'ora per trovare un posto a sedere e adesso son qua. 
Ancora un'altra volta in viaggio.
Vivo ormai con le valigie in mano e d'altra parte era proprio quello che volevo: non stare mai ferma in un posto solo. 

Mi spiace se sono sparita, ma ho troppe cose da elaborare. Sto ricominciando per l'ennesima volta da zero in una città nuova,  con un lavoro nuovo. A volte la paura mi fotte proprio. A volte no. Non ho ben capito quali saranno i prossimi treni che prenderò. Se regionali o frecce. Se finiranno a Napoli, a Milano o se schizzeranno in aria alla volta di Marte. Io voglio solo essere felice, fare foto e tornare a scrivere. 
Mq cone cazzo si fa a smettere di avere paura del futuro?

P.s.: avvertenza, questo post l'ho scritto con lo smartphone, quello che una volta m'ha corretto "tutto" con "rutto", tanto per intenderci. Se doveste trovare errori, abbiate pietà di me.

P.p.s: ringrazio la persona di cui non cito il nome per motivi di privacy per la preziosa consulenza. Onore  e gloria a te che sei stato citato nel mio blog. Come ricompensa va bene? :)

giovedì 6 marzo 2014

Lettera all'idiota

Ciao idiota.
Ti ricordi che ti chiamavo sempre così?
La vuoi sapere una cosa? Credo che io e te abbiamo ancora un paio di cose da dirci. Ovviamente non è che sono così minchiona da dirtele in faccia, sia chiaro.
Anche perché so che non mi vuoi parlare.
E non sia mai, che magari se m'avvicino troppo alla tua regale persona potresti anche accusarmi di stalking.
Dato certe tue esageratissime e insensate reazioni che hai avuto in passato, la cosa non mi stupirebbe.
D'altra parte se t'ho sempre chiamato idiota un motivo ci sarà pur stato, no?

Allora, quando le cose tra noi hanno iniziato ad andare davvero maluccio, da brave persone che hanno condiviso anni e anni di vita, abbiamo pensato di suddividerci per benino i compiti.
Tu ti sei beccato l'ingrato compito di porre fine alla nostra malatissima relazione. Perché se fosse stato per me non so se ne avrei mai avuto le forze.
Ma, da bravo calcolatore quale sempre sei stato, l'hai fatto solo quando ti sei garantito un altro bel porticciolo sicuro in cui approdare con il tuo regale veliero. E no, credimi, non sto parlando di scopate et similia. Non solo di quello almeno. Mi hai lasciata perché avevi perso la testa per un'altra persona con cui ti sei messo insieme poco dopo.

Io mi sono beccata l'ingratissimo compito di ripartire da zero. Da sola. Senza nessuno. Senza un lavoro.

Qualsiasi persona che è entrata nella mia vita dopo di te (e ti garantisco che di persone entrate recentemente nella mia vita ce ne sono parecchie, per fortuna) non può esimersi dal pronunciare parole molto dure e sprezzanti nei tuoi confronti.
"È stato un coglione"
"Non ti amava davvero"
"Mah... insomma farla così sporca davanti a tutti..."
"Ti ha mancata di rispetto perché t'ha mollata lasciandoti nella merda"

Non credo tu ti sia attirato molte simpatie, e credimi, un po' mi dispiace perché alla fine, per quanto tu ci abbia provato in tutti i modi a passare dalla parte della vittima, l'unico risultato ottenuto è che hanno iniziato a vederti tutti come uno spietato carnefice.
Davvero, mi dispiace.

Il mio sgraditissimo compito mi ha riservato invece tante belle sorprese.
Mi sono rimessa in gioco.
E sì, certo, la disoccupazione e la repubblicadimerda in cui viviamo si sono piantati per benino come una mannaia dietro la schiena ma questo non mi ha impedito di crescere come donna.
Ho messo in pratica tutto quello che ho imparato con te.
Perché, credimi, 10 anni insieme ad uno svitato-paranoico-sociopatico pesano come macigni. Ma mi hanno insegnato tantissimo.
(Sì, sì, scusami, hai ragione.
Ti ho detto svitato-paranoico-sociopatico, non dovevo essere così insolente e mancarti di rispetto)
All'inizio non lo credevo possibile nemmeno io, ma un "soggetto diversamente abile nelle competenze emotive" (così va meglio?) ti lascia quintalate di roba da elaborare, poi, man mano che macini, ci tiri fuori qualcosa di buono.
Macina e macina e vien fuori la farina.
Poi prendi la farina, la impasti con quel cazzo che ti pare a te e ci puoi fare del pane. O dei biscotti. O magari ci puoi firggere del pesce.

"LiLLy, basta che ce fai venire fame, poi ci tocca inghiottire il pc come nella pubblicità!"

Si, avete ragione. Troverò una metafora altrettanto appopriato. Allora, prendi la farina, ci fai la pasta di sale e poi puoi usarla per fare dei posaceneri, dei soprammobili, dei centrotavola...

"LiLLy, che due coglioni e adesso basta che abbiamo capito!"

Ma mi volete lasciar scrivere come mi pare a me? Sciò sciò, andate da un'altra parte, che qualche googlata più in là ci trovate la posta del cuore di Moccia. Chiedeteglielo a lui cosa ci si può fare con la farina, magari vi tira fuori il romanzo nuovo, una roba tipo "Amore biscotto tenerotto pucciotto" o "Ho scritto t'amo con la pasta di sale".

Ad ogni modo, lasciamo stare Moccia e la pasta di sale. Ho ancora un paio di cose importanti da dirti.
Tu, essere con cui ho condiviso dieci anni della mia vita.
Tu, dalle scarsissime e pressocché nulle competenze emotive-sociali- relazionali.
Tu,si, si, proprio tu
Tu, saresti orgoglioso della donna che sono diventata.
E un giorno ti spiegherò anche perché, non adesso però perché non c'ho sbatti.
Ciao idiota, stammi bene e ripigliati

mercoledì 5 marzo 2014

Fase cazzeggio ennesima + 1, il carnevale

Carola. Troppe fasi cazzeggio, che dici? Secondo me questa nostra interessantissima propensione ha un solo pregnantissimo significato: lo scopo ultimo della nostra esistenza è uno e uno solo: il cazzeggio selvaggio. Ma se creassimo delle "olimpiadi del cazzeggio"? 

Allora, visto l'umore che vira pesantemente verso il basso, la rabbia e il fatto che sono stata contattata per l'ennesimo "lavoro truffa" (apro parentesi: ma perché questi sono ancora in giro? Perché questi loschi individui pullulano e proliferano beati come batteri dentro una capsula di Petri? Cazzo, se ti svegli un mattino e t'accorgi che c'hai un virus che ti causa febbre a mille/cagotto/cefalea cerchi di debellarlo giusto? E allora 'sti cazzoni di merda debelliamoli dal mercato del lavoro, no?)

Ora, per sfuggire a questo malatissimo sistema ho pensato bene di distrarmi un pochino. 
Ragazzi è carnevale! Vai in giro e si sente profumo di chiacchiere e frittelle, vedi bimbi vestiti nei modi più assurdi e inimmaginabili. Arrivi a casa con chili di coriandoli nelle mutande.
Pensavo che a Ravenna, città grigia e triste e morta, il carnevale sarebbe passato quasi inosservato. E invece hanno fatto una sfilata proprio con i controcoglioni. E indovinate dove? A lido Celentano, la ridente località di mare che ospita l'onorata e gloriosa repubblica democratica di LiLLyLandia.
Sembrava di stare a Venezia, con un unica grandissima pecca. Che eravamo a Celentano. Località che è notoriamente grigia e triste e morta.
"Come Ravenna LiLLy?"
No, peggio.
Pensate che ho pure visto un bimbino sugli otto anni vestito da morte. Con tanto di falce in mano.
Cioè, io ero lì a vedere passare i carri (non quello funebri eh) e me lo sono trovato di fianco.
Per poco non ho sentito pure il soffio d'aria gelida sul coppino, sticazzi.

Beh, sappiate che mi sono mascherata anche io.  Non lo facevo più dal 1995 più o meno. Quest'anno mi si è presentata l'occasione e indovinate un po'?
Ho scelto un travestimento che si adatta particolarmente alla mia personalità.
"Ma davvero LiLLy? E da cosa ti sei vestita? Da barbona? Da disoccupata incazzata? Da onesta e disadattata cittadina che prima o poi esce completamente fuori di testa?"
Ehi voi, vedete di pigliarmi poco per il culo che qua tira aria bassa per tutti.
No, io mi sono vestita da pin up anni '50. Mi spiace solo che alla fine non ho una foto a figura intera. Avrei potuto allegarla al curriculum e chissà, magari mettendo in bella vista cosce e tette avrei potuto iniziare una brillante carriera da parlamentare.
Ringrazio la mia amica e vicina di casa, Chiara, la mente geniale che é stata dietro a tutto questo.
Senza di lei probabilmente mi sarei vestita da barbona sul serio.
Per vestirmi sa pin up ho recuperato

  •  Il vestitino che uso di solito per andare al mare, in pieno stile pin up. Glielo avevo visto addosso a mia nipote e lì ho capito che doveva essere mio. Costo: 8 euro.  Allego foto dell'oggetto in questione scattata nel dopo-serata, ovviamente è tutto spiegazzato perché non l'ho stirato. E che cazzo, non l'avevo stirato prima di indossarlo, figuratevi se lo stiravo dopo.                   
                                                                             

  • Un paio di decolté da abbinarci. Le avrei preferite rosse ma a casa ne avevo un paio blu, con la suola rossa, comprate in saldo un paio d'anni fa. Ho preso quelle. Prezzo: 20 euro

  • Uno smalto rosso. Me lo avevano regalato durante un aperitivo sponsorizzato da una nota marca di liquori. Ci ero andata proprio con Chiara tra l'altro. Prezzo: uno spritz.

  • Trucco: io in media mi trucco poco. Un po' di fondotinta, un filo di matita nera sugli occhi, e rossetto rigorosamente rosso, prestatomi sempre da Chiara che ringrazio ancora infinitamente.

  • Pettinatura: ho guardato questo video. E ho comprato un foulard. Prezzo: 2,50 euro. Quando ho fatto la prova domenica sera con Chiara é andato tutto stra bene. Martedì, il grande giorno, mi sono acconciata da sola, c'ho rimesso 5 anni di vita e una gastrite perché cazzo, la banana non stava su. Avete capito cosa intendo per banana vero?
Il risultato è stato questo

Ero mezza nuda. Con la pioggia battente e il freddo. A saperlo prima mi sarei vestita da palombaro. O visto il vento che soffiava a mille mila nodi, da pala eolica.


lunedì 3 marzo 2014

"Sono fuori, sono, sono fuori

Come gli agricoltori quando raccolgono i pomodori
Sono fuori, sono, sono fuori.
Come un vaso di fiori signore e signori"

Li conoscete gli Articolo 31? E l'album "Così com'è" del 1996?
No?
Peccato.
Io quell'album lo conosco a memoria e fa venire in mente un periodo particolarmente felice della mia vita: la seconda media.
All'epoca ero una ragazzina di dodici anni allegra e spensierata.
Più o meno.
Diciamo che c'erano alti e bassi.
Forse più bassi che alti.
Forse sarebbe più veritiero dire che era una merda totale.

All'epoca non sapevo proprio che cazzo avrei fatto della mia vita.

"Ah LiLLy! Perché invece adesso che sei all'alba dei trenta, lo sai vero?"

No, non lo so, ma da allora ad oggi c'è una grandissima differenza da tenere in considerazione

"Beh cazzo, adesso che sei una donna matura, sicuramente ci avrai guadagnato in consapevolezza"

Certo, adesso sono una donna molto più consapevole. Consapevole della situazione di cacca in cui mi ritrovo.
All'epoca quel tipo di consapevolezza non ce l'avevo. Ero convinta che a trent'anni avrei avuto una famiglia e un lavoro con cui potermi esprimere e realizzare come donna. Nel frattempo cazzeggiavo.
Alla fine ero solo una ragazzina scipita come un cocktail allungato, il cui il massimo del divertimento era partecipare a festicciole organizzate a casa tra amiche.  Festicciole rigorosamente vietate ai maschi.

"Vietate ai maschi? Come mai? Perché tu e le tue compagne di classe eravate così sessite e pudiche?"

Veramente non eravamo nè sessite, nè pudiche. E le feste allora non è che fossero proprio vietate ai maschi.
Erano loro che non ci volevano venire.
Gli uomini allora non ci cagavano di striscio.
Una volta un tizio pluribocciato, dall'aspetto più simile a quello di un trentenne che non a quello di un sedicenne, prese una cotta per una mia coetanea.
La cosa finì molto presto quando il tizio in questione, dopo aver spiato l'oggetto del desiderio nello spogliatotoio della palestra, capì che quel flirt non s'aveva da farsi.
Il motivo lo scoprimmo anni dopo:
"Oh si, lei era tanto, tanto carina. E dolce, ma proprio dolce. Ma ragazze quando ho visto che c'aveva i peli sotto le ascelle sono rimasto traumatizzato"

E già.
Perché noi all'epoca (almeno, noi della mia classe, già per quelle di altre sezioni non posso mica garantire, anzi...) mica stavamo lì ad infighettarci. Era già tanto se ci facevamo i peli sulle gambe.
Noi si studiava.
Si passavano i pomeriggio all'oratorio.
O a casa di amiche.
Col cazzo che andavamo a ballare sul cubo in discoteca la domenica pomeriggio: con le facce disperate che c'avevamo dipinte in faccia i butta fuori c'avrebbero guardato con compassione e poi spedite in edicola a comprare le figurine.
Il massimo della vita era andare in panificio a prendere un pezzo di pizza da gustare con un buon Estathé d'annata.
D'annata perché, se ci guardavi, la data di scadenza poteva riservarti delle grandissime sorprese.
Oppure andare a passeggio per raccogliere un particolare tipo di ghianda che una volta passata sulle palpebre lasciava un colore grigio metallizzato. Roba che nemmeno certi ombretti della Pupa.
La pazzie più totali consistevnoa nello scolarci qualche sorso di birra, nel fumarci qualche sigaretta.
O nell'andare a vedere gli Articolo 31 al quadrifoglio di Garbagnate Milanese, appunto.
Non ci facevamo nemmeno le canne perché avevamo paura di fare la stessa fine di Christiane F, pensate un po' che tristezza.
Tutto il resto era un'accozzaglia di grandi mah e boh, conditi dalla speranza che forse un giorno, i ragazzi avrebbero incominciato a cagarci.
Era una piccola vita, da piccola ragzzina di provincia.
Ma almeno c'era la speranza.

Quindici anni dopo. I grandi boh e mah sono diventati enormi e mastodontici vuoti esistenziali. Il lavoro e i diritti basilari legati al lavoro (e non solo) sono andati beatamente a farsi fottere.

Forse, ma forse, le differenze sostanziali tra la me stessa di allora e quella di oggi sono tre:

1) Adesso mi depilo regolarmente. Con la sola eccezione della stagione invernale, perché la gamba, si sa, va lasciata al maggese per almeno sei/sette mesi all'anno.
2) Se qualcuno mi dovesse offrire una canna non la rifiuto di sicuro. E, visto che non trovo lavoro, sto seriamente pensando di  intraprendere la carriera di drogata.
3) Gli uomini mi cagano. Certo, di solito lo fanno per incasinarmi. Per shackerarmi l'anima. O per farmi buttare via buona parte del mio preziosissimo assegno di disoccupazione comprando pillole anticoncezionali che mi sregolarizzano il ciclo e test di gravidanza che costano quanto i miei ovuli, caso mai mi dovesse venire l'insana idea di metterli sul mercato.

Insomma. Dodici anni per sempre.
Qualcuno m'ha detto che sono ancora un bruco che aspetta di diventare farfalla.
Secondo me un bruco che rimane un cazzo di bruco per trent'anni andrebbe segnalato all'Epa come il pesce pluriocchiuto del film dei Simpson.
E ad ogni modo, chi cazzo me lo fa fare di diventare farfalla che tanto quelle schiattano dopo due giorni?

venerdì 21 febbraio 2014

-LiLLy e...- Ovvero i peggiori scenari apocalittici mai partoriti dalla mente di una donna

Adesso ho capito perché per nove lunghi mesi della mia esistenza ho avuto una specie di pseudo storia con un uomo impegnato.
Perché avevo sesso e -più o meno- presenza, senza avere legami. Senza che l'altro invadesse i miei spazi.
Perché, cazzo, così si sta bene.
Un giorno a Padova, un altro a Torino, un altro sa il cazzo dove.
E non me ne fotte una minchia se vedo i miei amici che si accasano, sfornano pargoli manco fossero cup cakes e decidono la destinazione del viaggio di nozze.
C'è fretta?
Che vada a forsi fottere anche il ticchettio dell'orologio biologico. Tanto male che vada tra cinque anni mi faccio congelare gli ovuli. Così poi magari ci faccio la frittata.

Il punto è che sono rimasta traumatizzata. Ho conosciuto più famiglie disfunzionali io che il servizio "Minori e famiglia" del comune di Milano. O la Lucia in tutta la sua tata-esistenza.
E poi c'è quell'altro piccolo problema. Quello della salute mentale che vacilla. Dell'incorenza. Del voler provare tutto e il contrario di tutto. Del non volermi fermare. Dello scappare. E del voler sentirmi Amata, con la A maiusocola.
E un'altra cosa ancora. Nella mia vita credo di avere uno scopo da realizzare.
Ormai, sono sempre più convinta che ognuno di noi abbia il suo percorso da fare e i il suo scopo ultimo da raggiungere.
Io non ho ancora capito quale cazzo sia il mio. Attualmente mi verrebbe da dire il "rubare l'ossigeno a coloro che lavorano", ma spero di cambiare presto il mio karma altrimenti potrei rimanerci moooooolto male. Ma moooolto.

E comunque alla vita non gliene frega niente, continua a sbatterti in faccia le tue manchevolezze e le tue paure.

"Ma ti immagini tu un giorno? Ti sei mai immaginata madre? Con una famiglia? Con un compagno?"
"Scusa, scusa, scusa. Please, pronuncia le seguenti parole: madre, famiglia e compagno lontano da me. Perché mi fai venire il prurito. E ho paura di avere uno schock anafilattico.
E comunque no. Non ci penso. Non mi immagino, non mi ci vedo"

E invece poi mi ci sono vista, immaginata e pensata. La mia piccola mente malata ha partorito scenari apocalittici.

Scenario apocalittico numero 1 -LiLLy e il tizio tanto carino e simpatico all'inizio che si trasforma in un bruto"

Già mi ci vedo. Io e lui nell'appartamento. Mesi di affitto da pagare. Bottiglie aperte di birra in frigor che fermentano in mezzo a caciotte amuffite e svariati tipi di verdure che hanno perso il loro aspetto naturale per trasformarsi in una sorta di blob.
Io sto a casa, ovviamente non lavoro. Il mio unico lavoro è procreare.
Due tre pargoli in giro, sparsi per il pavimento, che scambiano le bottiglie di vino vuote per biberon e che ci rimangono malissimo nel constatare che sono vuote.
Mentre aspetto il mio compagno, cerco di accendere un fornello che non ne vuole sapere di accendersi, perché devo preparare un salutare pasto a base di pataine fritte e hamburger insaporiti con la cenere della mie preziosissime camel light.

"Mamma, quando me lo fai il bagno?"
"Quando non ci saranno più i vestiti in ammollo"
"Ma perché non usiamo la lavatrice?"
"Chiediglielo a tuo padre dove sono andati a finire i soldi per la lavatrice nuova. Chiediglielo a lui e a quell'altra sgualdrina con cui esce insieme!!!"

Poi eccolo, arriva lui, l'uomo della mia vita. Uno di quei tizi che a trent'anni già ne dimostrano sessanta. Con la panza, la canottiera bianca e 'na croce al collo così grossa che potrebbe benissimo reggere il Cristo intero di Rio De Janeiro.
S'annuncia con un rutto.
"Oh tu, uomo di merda, hai portato a casa i soldi?"
Risponde con un altro rutto che significa no.
"Bello passare il tempo con quell'altra sgualdrina, mentre io sono qui a marcire in questo buco! Ma va a laurà barbun!"
Lui, acchiappa un hamburger mezzo cotto dalla pentola, se lo mangia, s'acchiappa la bottiglia di birra che fermenta in frigor da mesi e, sempre ruttando, scappa via.


Scenario numero due -LiLLy e l'uomo in carriera-

Già mi ci immagino. Nella villa. Soldi a palate. Lui sempre in giro per lavoro e per scopare a destra e a manca. A pagamento. Perché fa talmente schifo che non ci si vorrebbe accoppiare nessuno con lui. Manco io.
Io ovviamente non lavoro. Anzi, l'unico motivo per cui mi sono sposata è proprio perché l'assenza di lavoro mi aveva spinta a cercare qualcuno che mi mantenesse. E così sono finita, con il voltastomaco,  tra le braccia di questo abietto individuo con il sex appeal di un calzino sgualcito e la cui pelle ha il vago sentore del muflone in calore

Mi immagino lì, seduta su una sedia.
Mentra strafatta di psicofarmaci aspetto lui.
I miei figli sono chiusi, ognuno nella loro camera. Perché abbiamo problemi relazionali talmente gravi che non riusciamo a reggere l'uno la presenza dell'altro. O forse la nostra relazione è andata a farsi benedire nel momento in cui, appena dopo il parto, mi sono stati strappati via dalla sadica suocera, per essere affidati ad una balia.

"Ma perché? Io voglio crescere i miei bambini...datemi i miei bambini!"
"Tesoro, nella nostra famiglia, non si usa, non è ammesso. Adesso da brava, apri la bocca che la tua cara suocerina ti da la medicina" E da lì il nulla.

Ed ecco che lui arriva. Lo capisco dall'odore di muflone che inizia ad invadere l'aria.
Entra. Mi guarda.
"Ciao" mi dice.
"Ciao" gli rispondo con la bocca impastata dagli psicofarmaci.
"Ho parlato con mia madre"
La mia faccia si trasforma in una maschera di spavento.
"Pensi che lei non si sia accorta che quando io non ci sono tu ti fai sbattere da Pedro, il giardiniere?"
"E pensi che io non me ne sono accorta che vai più a zoccole tu che un certo nostro ex presidente del consiglio?"
"Ebbene, adesso sono cazzi tuoi. L'ho licenziato"
"No, Pedro noooooo! Pedro mi amor! Bastardo, bastardo senza cuore!"

Scenario apocalittico numero 3 -LiLLy e quello che c'ha dei gravi problemi mentali gravi. Ma molto gravi"-

Già mi ci vedo. In casa. Questa volta lui è presente. Fin troppo presente. E la casa è pulita. Fin troppo pulita, infatti l'odore di candeggina fa lacrimare gli occhi.

"LiLLy, vieni qua che c'abbiamo le pulizie da fare in casa"
"Ma le abbiamo appena fatte!"
"I microbi! Questa casa è piena di microbi!"
"Ai microbi pensi tu? Mai una volta che mi porti a cena fuori!"
"A cena fuori, ma sei matta? Non esistono ristoranti puliti, rischieremmo di morire lo sai?"
"Ma che cazzo, non posso stare sempre in casa, non lavoro nemmeno io...ho bisogno di prendere aria, ARIA!"
"L'aria fa male, fa venire la broncopolminite. Dai calmati, prendi lo straccio e vai a pulire il pavimento del bagno. Io intanto faccio la cucina. Dopo li vai a recuperare tu i bambini nella camera iperbarica?"
"Ma io soffoco, lo vuoi capire, SOFFOCO!"
"Adesso ti passa. Ma non pensi a quanto siamo felici noi? Io, te e i bambini nella camera iperbarica?"
"Ma io..."
"LiLLy, dai, avanti, lo sai cosa devi ripetere quando ti senti così, vero?"
"Sì"
"E avanti, dillo allora"
"Noi siamo una squadra"
"Avanti, più forte"
"NOI SIAMO UNA SQUADRA!!!!"
"Brava, è questo che voglio sentire. Ah, a proposito, domani dobbiamo prendere l'amuchina...sai, viene il giardiniere nuovo, prima di fargli tagliere la siepe, lo voglio igienizzare per benino."
"Hai trovato il giardieniere nuovo? Come si chiama"
"Pedro"

Io non ce la posso fare...

martedì 18 febbraio 2014

Chi ci capisce qualcosa è bravo

Ciao belli! Eccomi, appena tornata dalla trasferta padovana. A proposito, il post che abbiamo scritto io e quella meravigliosa donna che è Adhara, lo trovate qui.

Ci sarebbero mille mila altre cose da raccontare, tra cui:

1) Il lavoro che non arriva. Ma tanto adesso che al governo abbiamo quel gran simpaticone di Renzi, io mi sento in una botte di ferro. O forse in un pigiama di cemento, non so.
A parte l'espressione del viso non particolarmente rassicurante -ma nemmeno particolarmente sagace se per questo-  quel  suo motto "Una riforma al mese" mi fa venire i brividi.
No perché se le sopracitate riforme dovessero servire per farci finire nella cacca, vorrei far presente, casomai non si fosse capito, che qui di merda ce ne abbiamo già fin sopra i capelli.

2) La voglia di cambiare qualcosa in questo paese di merda. Tipo che mentre quei minchioni che stanno al governo continuano a minchionare, forse bisognere fare davvero qualcosa.
Tipo regolamentare la disoccupazione che qui ormai è il far west. Perché non si può riuscire a lavorare per "botta di culo". Chi è a casa da più tempo dovrebbe avere priorità rispetto agli altri.
Tipo che bisognerebbe fare CONTROLLI. Perché qui la crisi sta diventando una cazzo di scusa per SFRUTTARE le persone, per farle lavorare in nero, con orari da lager e per sottopagarle.
E già che ci sono terrei sotto controllo agenzie interinali e centri dell'impiego, perché non ho mica capito come cazzo lavorano.

3) Nonostante le brutture che mi corcondano, mi sento fortunata. Perché il destino mi ha fatto conoscere persone meravigliose. Persone con la P maiuscola. Vere, belle, che più trascorri del tempo con loro e più ti resituiscono emozioni, significato e conforto.
Parlo di quelle tre grandi donne che sono Adhara, Carola e Sea che in questi ultimi mesi ho imparato a conoscere meglio.
Parlo di molte altre persone che ho conosciuto nella vita reale.( E sono anche sicura che qualche infiltrato da fuori che legge c'è)
Ragazzi, l'Italia c'è, è viva! Cazzo, se solo prendessimo davvero consapevolezza delle nostre capacità e della nostra reale forza , questo minchia di paese lo ribalteremmo come un calzino!

4) Nonostante le brutture che mi circondano, mi sento fortunata due volte. Perché posso fare foto.
Voi non avete la minima idea di quanto la fotografia ultimamente mi stia riempiendo di gioia.
E non me ne frega un cazzo di niente, mi piace e basta.

5) Ho scoperto Spotify. E i mie orizzonti musicali si stanno allargando, includendo panorami fino a poco tempo fa impensabili.
Certo, c'è ancora qualcosa da sistemare.
In primis, a differenza del liberale youtube, Spotify è dittatura allo stato puro.
Avete presente in Italia, no? Che ti svegli una mattina e ti trovi Monti in parlamento. E ti chiedi chi cazzo l'ha votato. Poi salta fuori Letta, forse dall'uovo di Pasqua. E alla fine, surprise! Renzi. E pensi che no, cazzarola, il primo di aprile è ancora lontano. Carnevale pure.
Insomma Spotify è uguale. Ti alzi una mattina e ti trovi tre le tue stazioni radio quella di Eminem.
"Io? Eminem? Ma chi minchia l'ha mai ascoltato?"
E, indovinate un po'? Per qualche misterioso motivo quella stazione radio non la posso cancellare. Sicché mi troverò sempre sotto gli occhi Eminem e la sua  sgraditissima faccia da culo.
Secondo problema: i suggerimenti di ascolto.
Ascolti De André e lui ti propone gli Articolo 31.
Con i Baustelle ti suggerisce Cesare Cremonini.
Spotify, ma che cazzo ti fumi?
Terzo problema: la stazione radio dei Beatles non contiene canzoni dei Beatles. Solo cover. E altra roba inclassificabile.
Persino una mente geniale come quella di Brunetta potrebbe partorire qualcosa di più sensato, cazzarola.

6) A parte il non lavoro, le belle persone, la fotografia e Spotify, c'è molto altro.
C'è che la manopola dell'umore, quella che io non riesco mai a regolare, adesso è perennemente in up.
Troppi stimoli. Ho il cuore sotto centrifuga. Quintalate di pensieri ed emozioni da far asciugare al sole.
Dormo poco e male.
Insomma, sembro stra fatta di cocaina. O forse ho solo tirato su col naso troppa farina di ceci (quella che uso adesso per farmi un naturalissimo shampoo casalingo).
Ma che cazzo sto combinando?

7) E ci sarebbero anche progetti. Partoriti tra uno spritz e una birra.
Boh.
In questi ultimi mesi mi sono evoluta come un Pokemon.
Auguratemi solo di non fare cazzate.

giovedì 16 gennaio 2014

Yes, I can

Con quel grigiume che spesso mi assale credo che dovrò farci i conti per tutta la vita.
No, non se ne andrà mai.
Potrò forse dargli un senso, magari scriverci su qualcosa.
-Cinquanta sfumature di grigio by LiLLy-. Che ne dite?

"LiLLy Non vorrai mica propopinarci il tuo personalissimo elogio al grigiume? Perché guarda che già c'è crisi, le tasse aumentano e tu ci stai facendo ancora due maroni così..."

Ma no ragazzi, state pure tranquilli.
Non voglio tediarvi con le mie cinquanta sfumature di grigio.
Anche perché temo siano molte di più e io non voglio intasare la rete.
No, sono qui per raccontarvi di questa strana fase di transizione che sto attraversando in questa mia anomala vita.

"Ecco, lo sapevamo. Ma come te lo dobbiamo dire? LiLLy. I maroni. Hai presente le mongolfiere? Ecco quindi per favore..."

Ma che cazzo, ma mi volete lasciar scrivere?
Oggi sono qui per lanciare in questo mare virtuale, la bottiglietta contenente il mio personalissimo messaggio di speranza, gioia e fratellanza

"Oh LiLLy, finalmente! Che bello sentirti così gioiosa e propositiva! (In realtà sembri tutto tranne che gioiosa e propositiva, comunque noi crediamo in te. Avanti srotola il foglietto e leggi il tuo messaggio)"

Ok, ok, leggo subito.

Una sera di tanto tempo fa, mentre chiacchieravo amabilmente con una mia amica e con il tipo che tanto mi piaceva allora, mi saltò l'otturazione  di un molare destro. Arcata superiore.
Mi rifiutai categoricamente di andare dal dentista e, mesi dopo, durante una terribile, afosa e caldissima notte d'agosto, la carie si trasformò in pulpite. Avete presente quando si infiamma la polpa del dente e vi vengono dei dolori atrocissimi? Ecco.

"LiLLy, perdonaci, ma che cazzo di messaggio gioioso e speranzoso è mai questo?
(Ma davvero ti è saltata un'otturazione davanti al tipo che ti piaceva? E tu cos'hai fatto? Racconta, racconta!)

E che dovevo fare? L'istinto sarebbe stato quello di sputazzare l'otturazione sul palmo della mano per fare una prima constatazione dei danni.
Per fortuna mi sono contenuta. Ho evitato di fare smorfie strane e sono scappata in bagno con molta nonchalance.
Comunque.
Torniamo a quella terribile notte d'agosto.
La mattina decisi di prendere appuntamento dal dentista. Che ovviamente era in ferie.
Insieme a tutti gli altri dentisti della Lombardia. Forse c'era un convegno importante a Milano Marittima, chissà.

Io intanto soffrivo come una bestia e non sapevo dove sbattere la testa.
Ma di motivi per non farlo ce ne sarebbero stati milioni.
Che sì facendo avrei potuto far saltare altre otturazioni.
E certo un gran numero di preziosi, dei miei già pochi, neuroni.

E sticazzi. Mi sento un incrocio tra Dante Alighieri e Fabri Fibra.
Ad ogni modo.
Qualcuno mi consigliò di andare allo stomatologico di Milano, ma all'epoca ero molto più coglionazza di adesso e la parola stomatologico mi faceva venire il voltastomaco. E non ci andai.

Passai altri due giorni e altre due notti d'inferno. Mi drogai letteralmente di antidolorifici e, nonostante questo, il dolore non si placò affatto.
Finché, la mattina del quarto giorno, un piccolo centro dentistico nei pressi di Como tirò su la serranda.
Mi ci precipitai di corsa.
Subito dopo l'anestesia, il dolore scomparì all'istante e in quel momento capii che "Nirvana" non era solo il nome di un gruppo che mi piaceva un sacco, ma era anche uno stato dell'essere.

Una volta concluso il lavoro dal dentista andai a casa e lì volevo fare solo una cosa: dormire.
Il fatto è che prima dell'anestesia ero solo una povera creatura dolorante.
Dopo l'anestesia ero ancora una povera creatura che, seppur non dolorante, aveva dormite forse dieci minuti nelle precedenti sessanta ore.
E che, ricordiamo, aveva appena raggiunto il Nirvana.

Mi buttai tra le coperte che sembravo strafatta di Lsd.
Avevo sofferto così tanto prima dell'anestesia che l'assenza di dolore mi mandava in estasi.
Volevo dormire e non riuscivo a dormire perché ero troppo contenta. Contenta per l'assenza di dolore, perché fuori c'era il sole, perché le mie lenzuola erano liscissime e profumavano di ammorbidente.
Rischiai il tracollo psichico. Mia mamma allora mi disse che avevo proprio gli occhi spiritati, ma vi rendete conto?

"Bene LiLLy, molto interessate. Noi ti abbiamo ascoltato, tu però ci fai un favore? Il messaggio di speranza...non è che potresti tenertelo per te?"

E no eh. Adesso mi fate finire, va bene?
Il mio messaggio di speranza è questo: "Se mai vi dovesse saltare un'otturazione, andate subito dal dentista"

"LiLLy, questo messaggio di speranza fa cagare!"

Ok, va bene.
Erase and rewind.
Il mio messaggio di speranza è questo: "Adesso mi sento proprio come in quel pomeriggio d'agosto. Sono felice perché ho trovato una cura per il dolore ma ahimè, la pace è ancora molto, molto lontana. Ci vorrà molto tempo prima che io riesca a raccogliere qualche frutto. Eppure stavolta ci credo. Ci credo DAVVERO. Stavolta sono fiera di dirmelo, IO CE LA POSSO FARE!"

Spero solo di non avere gli occhi troppo spiritati




giovedì 2 gennaio 2014

Arrivata a questo punto posso solo sperare di trovare dio

(Titolo inutilmente pomposo e pretenzioso. Non mi veniva in mente altro però)

La ragazza che ho visto poco prima mi rivolge all'improvviso la parola: "Scusa!"
Mi coglie alla sprovvista e all'inizio non capisco se si stia rivolgendo proprio a me. 

E a chi cazzo avrebbe potuto rivolgersi?
Accanto a lei ci sono solo io.
Il mio amico cammina distante da me, immerso anche lui nei suoi pensieri.

Mi giro e la guardo.
"Dimmi pure"
La ragazza ha i capelli rasati da una parte e lunghi dall'altra.
Un occhio leggermente più chiuso dell'altro.
Ed è sporca.
Sporca in viso, sulle mani, sul vestitino di lana rasa e sul giubbotto chiaro troppo leggero.
Mi ricorda uno spazzacamino.
"Non è che mi faresti accendere?"
Mi sorprendo a vedere che dalla labbra le penzola una cicca di sigaretta (o di canna?), talmente consumata che mi chiedo cosa ci possa tirar fuori da fumare ancora.
D'istinto mi viene da accenderglielo io, il moccino.
Ma è talmente corto che che ho paura di bruciarle il viso sicché le passo l'accendino.
E rimango così incantata a guardarla che mi dimentico di augurarle buon anno intanto che mi restituisce l'acccendino, mi saluta e se ne va.
Un quarto d'ora dopo infilo la mano in tasca e trovo il mio pacchetto di sigarette.
"Avrei anche potuto offrirgliene una, quanto sono cretina" .

È il primo di gennaio.
È mezzogiorno.
Io e il mio amico siamo appena usciti dall'albergo per raggiungere il centro.
Una volta in strada ci siamo accorti che non passavano gli autobus della nostra linea e così abbiamo deciso di spararci quei sette chilometri a piedi.
Io, il mio amico e le rotelle del mio trolley che facevano un baccano d'inferno mentre scorrevano sull'asfalto.
Ci godevamo una Bologna inondata di sole, mentre cambiava vestito da un chilometro all'altro.
I palazzoni di periferia anni '70, così grigi e così tristi.
Quartieri anonimi, dove gli unici sprazzi di colore erano dati dai -sempre troppo pochi- muri colorati con la vernice spray.
Strade intere senza un negozio, senza un centro, senza un punto di ritrovo.
Qualche area gioco. Sempre se di area gioco si piuò parlare: uno scivolo, un altalena buttata in mezzo a qualche prato sparuto.
Passiamo di fronte ad una scuola.
In giardino ci sono dei muri.
Sì, non sto scherzando. Un uno spazio dedicato al gioco dei bambini ci sono dei muri.
Anche se qualcuno li ha colorati disegnandoci sopra delle faccine sorridenti, cazzarola so' sempre muri.

Non ho la reflex, vorrei fare qualche foto con il telefono.
Ad un certo punto lo tiro pure fuori quando passo di fronte all'ennesimo palazzone situato accanto ad una cimeniera che butta fuori fumo anche durante quel primo giorno dell'anno nuovo.
Poi decido che non ho voglia ho voglia di fare foto e lo metto via.

Finiti i palazzoni, arrivano le palazzine.
E la città si trasforma in paese.
Palazzine piccole con annesso il giardino, l'orto, qualche gallina che razzola in cortile.
E parchi bagnati dalla luce della una.
"Guarda queste bacche! E guarda questi frutti!Avevi mai visto della roba del genere?"
Cazzo siamo a Bologna. Eppure queste piccole scoperte vegetali mi colpiscono manco stessi osservando qualche strana pianta in Madagascar.
Le bacche sono dei piccoli corni rossi che ricordano dei minuscoli peperoncini. I frutti sono palle grosse quanto mele, composte da tante piccole palline verdi.
"Lisa, mai, mai visto niente di simile.
E rimaniamo lì perlessi a guardare ancora per quache minuto.
Poi riprendiamo il nosro cammino.

Nell'aria si sente profumo di fritto, di pasta al forno. E di trippa.
Da una macchina scende una ragazza con un vassoio avvolto nella carta alimentare.
Chissà, forse sono tartine. O forse è pasta fresca. Magari preparata da lei stessa. O comprata nel pastificio di fiducia.
Magari. Io posso solo immaginare.
Sicuramente la aspetta un abbondante pranzo da amici o parenti.

Il primo dell'anno è un giorno sonnolento, raccolto, di festeggiamente stanchi e di sommessa rilassatezza. Di divani e chiacchiere.
Di affetti autentici.
Ma solo quando gli affetti sono davvero autentici e riescono a sopravvivere nonostante la noia e le abitudini. E la voglia di buttare addosso agli altri lo shifo e il grigiume che si ha dentro.

Io invece in questo primo giorno dell'anno sono in giro per Bologna, con la Torre Degli Asinelli che si staglia sullo sfondo, lì dopo il ponte, a ricordarmi che il centro si sta avvicinando.
Ripenso ai primi dell'anno degli ultimi anni e a quanto mi andasse stretta la vita di prima.
A quanto mi riempie di gioia questa passeggiata tra sole e miserie. Orti e profumi.

Ecco i portici.
Ecco il centro con tutti quei mattoncini rossi.
Il centro in cui ho vagato tutta la notte prima, da un bar all'altro, facendo il pieno di prosecchi e risate.
Ecco Piazza Maggiore, lì, la sera prima ero rimasta incantata ad ascoltare il suono di un carrilon mentre sulle facciate dei palazzi signorili venivano proiettate strane immagini di palline colorate che si muovevano. Pareva Candid Crash Saga.
Che cosa c'azzeccasse non l'ho mica capito.
Ma era davvero importante capire?
O forse era molto meglio perdersi in quel momento, nel suono di quel carrilon, nelle immagini di quelle palline colorate che mi rocordavano un fottutissimo gioco per pc?

Arriviamo in stazione, mangiamo qualcosa al volo e si torna a casa.
Mi aspetta un viaggio in treno che sarà una lotta continua tra il sonno che cerca di avere la meglio sul mio cervello e la mia voglia di leggere il terzo capitolo di "Mangia prega ama".

Saluto il mio amico.
Saluto Bologna con la speranza di rivederla presto.
E saluto questo 2014.

"...e speriamo che questo 2014 sia meglio dell'anno passato..."

"...Lisa mi piace concludere l'anno che stasera saluteremo con il pensiero alle cose che belle che senz'altro ti/ci sono successe...Si pretende sempre tanto dalla nostra vita, ma spesso ci dimentichiamo delle piccole meravigliose cose che ad esempio la tua macchina fotografica ha saputo cogliere con tanta poesia"

Buon 2014 a tutti i i carissimi affetti che questo 2013 mi ha regalato.
Buon anno a tutti voi.